Praticello di Gattatico (RE) – Una ventina d’anni fa vinceva il Giro e il Tour da direttore sportivo (con Beppe Martinelli) di Marco Pantani alla Mercatone Uno. Oggi, all’età di 60 anni (compiuti il 17 dicembre) e dopo due decenni alla guida di alcune delle più importanti formazioni del mondo (come Tinkoff, Katusha, Lampre e Uae Emirates), il bolognese Orlando Maini è tornato in Emilia, con l’entusiasmo di sempre, sull’ammiraglia del Team Beltrami TSA – Hopplà – Petroli Firenze, che da quest’anno sbarca nel professionismo come Continental.

Maini, che impressioni ha avuto dai primi collegiali?
“C’è entusiasmo, passione, competenza, tutto quel che serve per iniziare con il piede giusto. Si è deciso di investire tanto sui giovani, formando un collettivo di qualità, che ha del potenziale, che può e deve crescere in maniera graduale. Il gruppo è affiatato e collaborativo, e ho la fortuna di avere al mio fianco un collega come Roberto Miodini, che oltre ad avere esperienza nel mondo dei professionisti è molto bravo a lavorare con i giovani”.

Com’è arrivato al Team Beltrami – Hopplà – Petroli Firenze?
“La dirigenza, gli sponsor e chi, a vario titolo, collabora con questa squadra, hanno messo a punto un progetto davvero interessante, che mi ha subito coinvolto. Io non ho mai sposato un progetto per il budget o la categoria, ma in base ad una serie di fattori riconducibili all’entusiasmo che esso mi crea, agli aspetti puramente ciclistici. Anche stavolta è stato così”.

Qual è il modo migliore per far crescere i giovani nel ciclismo di oggi?
“Occorre trovare la giusta via di mezzo fra le soddisfazioni da togliersi e il non esagerare. Per quantità di gare ed esigenze di risultati, spesso di tende ad eccedere. Tante volte ho visto ragazzi che, arrivati al professionismo, erano ormai spremuti dal punto di vista fisico e mentale. Noi invece vogliamo fare in modo che i ragazzi crescano senza esasperazioni, riuscendo tuttavia a dimostrare il loro valore. E non dobbiamo dimenticare che noi abbiamo a che fare sì con dei giovani atleti, ma anche con i loro sogni. Io lo so bene: diventare un ciclista professionista era il mio sogno da ragazzo e sono riuscito a realizzarlo. Mi rivedo molto in loro”.

Quando lei vinceva Giro e Tour come ds di Marco Pantani, nel 1998, questi ragazzi erano o appena nati o dovevano ancora nascere. Che effetto fa essere oggi la loro guida?
“Una sensazione certamente strana, ma molto piacevole. I ragazzi mi chiedono spesso di Pantani, e io dico loro che il Panta non era solo quello che scattava in salita, ma è quello che la gente non riesce a dimenticare. In questo sta la sua grandezza. E poi porto loro anche l’esempio di Michele Scarponi, che ho avuto alla Lampre (insieme vinsero il Giro nel 2011, ndr), altra persona fuori dal comune, eccezionale. Ho conosciuto pochissimi capitani come lui, aveva qualità umane straordinarie e sapeva fare squadra come nessun altro”.

La squadra debutterà alla Vuelta San Juan, dal 27 gennaio, al cospetto di campioni come Sagan, Gaviria, Quintana e molti altri. Cosa vi aspettate?
“L’elenco iscritti farebbe quasi tremare le gambe, ma dobbiamo essere sereni. Per noi sarà come andare a scuola per prepararsi alla lezione successiva e migliorare costantemente. Certo, l’agonismo poi emerge sempre, perfino per me che siedo in ammiraglia, ma noi dobbiamo pensare alla stagione nella sua globalità, che comprende anche un calendario di gare dilettantistiche di assoluto valore”.